STORIA DI UN AMORE PERFETTO
di
Mitì Vigliero Lami


 

Da quando ero bambina ho sempre avuto una particolare immagine; Genova come una donna seduta nell'acqua di mare sino a metà vita, con la schiena, le spalle e le braccia spalancate appoggiate al monte. E chissà perché allora pensavo che, di questa donna, piazza Fontane Marose fosse l'ombelico dal quale partiva un passaggio segreto, via Luccoli, che immetteva in un'altra città. Per me c'erano due città; una Nuova conosciuta più o meno a tutti, dalle strade larghe e tanto cielo sopra, e una Vecchia, misteriosa, nota solo a pochi privilegiati. Fantasie infantili che però sento ancora vive oggi e so condivise da tutti gli amici "foresti" lì condotti da me, partendo ogni volta dall'ombelico di Marose e poi tuffati nel ventre di questa grande madre alla scoperta di cose e storie che in continuazione scopro io stessa assieme a loro.

Amo osservare le espressioni degli amici foresti nell'attraversare vicoli tanto stretti che se piove non te ne accorgi neppure, palazzi tanto alti che raramente vedi solo uno spicchio di cielo, figuriamoci la luna. Pari a una dantesca Virgilia mi piace accompagnarli ogni volta in un posto diverso, e lì farli soffermare a lungo affinché ne assorbano per sempre l'aspetto e la storia. E di storie strane, di odio, d'amore o di magia; storie curiose, ilari o tristi avvenute sopra e sotto il suo ombelico, Genova ne ha tante da raccontare; ai foresti, certo, ma anche ai suoi figli che spesso tendono a dimenticare.

Era un torrido pomeriggio d'agosto quello del 1502 quando Luigi XII, re di Francia, giunse in città pieno di buoni propositi e con l'intento di convincere dogi e nobili ad aiutarlo nella lotta contro la Spagna. Il marchese Cambiaso organizzò in onore del Re un ricevimento grandioso, invitando i maggiorenti della città e le loro gentili consorti. Nella villa di San Fruttuoso, alla luce scintillante delle candele, Luigi ballò con molte dame; ma come ebbe tra le braccia Tommasina, non la lasciò più.

Colpo di fulmine, amore a prima vista, ricambiato appassionatamente dalla sposa poco più che bambina del vecchio Battista Spinola. Danzarono sino all'alba guardandosi negli occhi: non accadde nulla d'altro. Ma al mattino, quando il Re dovette ripartire, l'addio fu struggente. Il giorno stesso Tommasina, in lacrime, abbandonò marito e casa, trasferendosi insieme alla vecchia nutrice in un palazzo della Maddalena. Lì rimase in testarda clausura, a piangere ininterrottamente, a scrivere lunghe lettere appassionate al suo re, senza voler vedere né parlare con nessuno, impedendo persino alla luce di entrare, tenendo perennemente le gelosie accostate... Dimagriva, Tommasina; si consumava d'amore. E piangeva.

Passarono tre anni, tre anni d'inferno e dolore. E un giorno la nutrice le annunciò la (falsa) notizia che il Re era malato, anzi, in punto di morte. E di colpo Tommasina cadde a terra, col cuore schiantato.

Dopo poco Luigi tornò a Genova, ma stavolta come nemico. E una notte, travestito da frate, col cappuccio calato sul volto, sgusciò nella cappella di San Nicolò inginocchiandosi di fronte alla tomba della donna che lo aveva amato d'un purissimo amore sino a morirne. Trascorse lì ore, a piangere lui stavolta, ricordando un dolcissimo viso poco più che bambino e una magica notte di un agosto torrido di caldo e d'affetto.

Poi volle recarsi a vedere la casa dove Tommasina aveva trascorso gli ultimi istanti; e soffermandosi sulla minuscola piazza dove questa si affacciava mormorò "Avrebbe potuto essere un Amor Perfetto"
.

E quel nome, alla piazza, rimase per sempre.

Le innamorate infelici vadano nella chiesa di Santa Maria di Castello, e indugino di fronte alla tela di Ludovico Brea; potranno vedere il volto poco più che bambino di Tommasina, che il pittore commosso e gentile volle ritrarre finalmente sereno in Paradiso.



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